Da oggi disponibile in anteprima streaming su Rockit “Plancton” di Alessandro Fiori, in uscita il 4 Novembre nei formati cd, vinile e digitale con distribuzione Audioglobe / The Orchard…

La natura del disco – registrato in combinazione tra supporto digitale e nastro magnetico – è frastagliata, fatta di elettronica organica e nano particelle concrete pure o elaborate.

La componente elettronica del disco – eccezion fatta per Margine (traccia germinale che ho composto in totale autonomia) – sono state gestite insieme a FRNKBRT  e Tasto Esc.

Nell’impasto timbrico la principale matrice acustica è il suono di un harmonium Farfisa del ’61.
Plancton si ricollega e riparte dallo smarrimento dei paesaggi desolati e totalitaristici di “Tigre in strada” (ultima traccia di “Questo dolce museo”, Urtovox 2012) e il suo mood è piuttosto scuro, conseguenza naturale di un immersione profonda laddove il sole fatica a rischiarare.

Viene meno la fiducia nella specie umana tant’è che l’opera suggerisce la reiterazione del dolore in una dimensione ciclica (è un nuovo ’15-’18?)  che ne esalta la pena: la fine della ragione (“…il sole rimane dietro…” Aaron) e la sterilizzazione degli istinti (“…non c’è margine d’amore…” la sopracitata Margine) la fanno da padrone.

Unico esempio di amore possibile nel disco è quello completamente gratuito e incondizionato di un anziano signore nei confronti della moglie ormai incapace di riconoscerlo a causa dell’haltzaimer (Ivo e Maria).

Il tema del ripescaggio dell’infanzia, spesso presente nei miei dischi, è secondario e compare – stavolta in toni invero grotteschi piuttosto che nostalgici – solo in Mangia!.

Piazzale Michelangelo descrive un attentato a Firenze.

Curiosa la richiesta di aiuto quasi in extremis ad etnie nomadi e perseguitate (Madonna con bambino rubato).

Non è un caso se è perenne l’incombenza della morte: il disco è stato infatti composto dentro una forbice di tempo delimitata dal suicidio di 2 cari (“…ma poi se muori alla fine ti arrangi / te ne vai all’altro mondo senza neanche un passo / e gli occhi e i pensieri cavati.” (Ho paura).

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